La rivoluzione sarà intersezionale: persone queer, trans e animali nella stessa lotta
Riflessioni su "Queer + Trans Voices: Achieving Liberation Through Consistent Anti-Oppression"
Queer + Trans Voices: Achieving Liberation Through Consistent Anti-Oppression (a cura di J. Feliz Brueck e Z. McNeill) è un altro libro essenziale che esplora un tema a cui ritorno spesso: l'intreccio profondo tra i diversi sistemi di dominio. Se seguite il mio Substack sapete quanto mi stia a cuore capire l'intersezionalità delle oppressioni (razza, genere, sessualità, classe, specie e disabilità), e come nessuna lotta di liberazione possa dirsi completa se non include tutte le oppressioni.
Questo libro è una raccolta di saggi, ciascuno dei quali offre una prospettiva distinta su cosa significhi perseguire la liberazione in modo coerente e olistico. Poiché riunisce voci molto diverse, i temi trattati sono tanto vari quanto urgenti: la logica colonialista dello specismo, lo stato carcerario e la produzione di corpi sacrificabili, il lavoro emotivo richiesto alle persone marginalizzate, il fascino e i limiti della politica assimilazionista, e il mito secondo cui l'amore e la cura siano risorse troppo scarse per essere condivise in abbondanza. Nelle sezioni seguenti, condividerò alcune delle idee che mi hanno colpito di più e che credo possano aiutarci a immaginare una visione della giustizia più ampia, più coraggiosa e più amorevole.
Un modello di solidarietà diverso
Una delle idee più convincenti di Queer + Trans Voices è il rifiuto dei modelli caritatevoli di solidarietà. Il libro riecheggia la saggezza del gruppo di attivisti aborigeni che dichiarò: "Se sei venuto qui per aiutarmi, stai perdendo tempo. Ma se sei venuto perché la tua liberazione è legata alla mia, allora lavoriamo insieme".
Questa affermazione ci sfida a reimmaginare il vero significato della solidarietà. Non si tratta di salvare o compatire coloro che percepiamo come "meno fortunati". Si tratta di riconoscere che tutte le nostre lotte sono intrecciate.
Ci invita anche a mettere in discussione i framework paternalistici che spesso passano per "aiuto". Consideriamo il famoso detto: "Dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno. Insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita". Oltre alla ovvia violenza del normalizzare la pesca, riducendo la vita di un altro essere a una lezione sull'autosufficienza umana, questo proverbio nasconde anche la fantasia coloniale che io, il benevolo estraneo, possegga la conoscenza corretta, e che il mio compito sia civilizzare e istruire. Presuppone che chi è nel bisogno sia semplicemente ignorante, in attesa di essere elevato da qualcuno che già ha tutte le risposte. Ma se rifiutassimo l'arroganza di presumere di possedere noi soli la saggezza? E se, invece di arrivare con soluzioni preconfezionate, iniziassimo ad ascoltare? Una visione più liberatoria potrebbe suonare così: "Sediamoci insieme e impariamo gli uni dagli altri come nutrire noi stessi e le nostre comunità in modi che rispettino tutti gli esseri". Questo approccio non riguarda il "dare" o l'"insegnare" in senso unidirezionale. Si tratta di apprendimento reciproco, responsabilità condivisa e della comprensione che i nostri futuri sono intrecciati.
Il mito della scarsità dell’amore
Queer + Trans Voices ci sfida a guardare oltre la scarsità materiale prodotta dal capitalismo e a riconoscere i modi più subdoli in cui il mito della scarsità infetta le nostre relazioni e i nostri movimenti. Una delle intuizioni più potenti che il libro offre è che quando trattiamo l'amore come una risorsa scarsa, iniziamo a volerlo accumulare in modo egoistico.
Quando temiamo che non ci sia abbastanza amore per tuttə, diventiamo cauti nel darlo e nel riceverlo. Iniziamo a razionare la solidarietà, a valutare se gli altri "se lo meritano". L'amore diventa transazionale, una merce da guadagnare piuttosto che una forza condivisa che ci sostiene tutti. In questa forma, l'amore perde la sua energia curativa e liberatoria. E quando l'attivismo è alimentato dalla stessa mentalità della scarsità capitalista, diventa inevitabilmente incompleto e isolato. I nostri movimenti si frammentano in lotte a tema singolo, ciascuna in competizione per un piccolo pezzo di giustizia, ciascuna diffidente nell'estendere troppo la solidarietà.
Rifiutare il mito delle scarse risorse è un atto radicale. Uno dei modi più potenti per resistere al suprematismo abilista (e ad altre forme di oppressione sistemica) è praticare un amore abbondante. Credere che la cura non sia una risorsa finita ma infinita, che si rinnova ogni volta che ci siamo l'unə per l'altrə.
Questo è anche il motivo per cui il veganismo, come insiste il libro, non può essere trattato come un atto di consumo o una merce. Il veganismo come checklist o test di purezza è vuoto. È il veganismo come espressione d'amore (per gli animali non umani, per il nostro pianeta, per la possibilità di un mondo più giusto) ad essere trasformativo.
La connessione tra specismo e colonialismo
Uno degli spunti più significativi di questo libro è il modo in cui specismo e colonialismo sono stati progetti di dominio intrecciati. A partire dal Settecento, gli imperi europei hanno fatto sempre più affidamento sull'importazione di animali domestici e sulla distruzione deliberata degli ecosistemi locali per imporre i propri modelli economici e culturali in tutto il mondo.
Questo processo veniva spesso presentato come "miglioramento". Le autorità coloniali sostenevano che l'introduzione del bestiame europeo avrebbe potenziato l'agricoltura, aumentato la sicurezza alimentare e promosso la salute pubblica. Ma sotto queste giustificazioni si nascondeva una violenta riorganizzazione della vita stessa. Gli animali importati (specialmente mucche, pecore, capre e maiali) soppiantarono le tradizioni alimentari indigene e rimodellarono i paesaggi per servire meglio i mercati coloniali.
I prodotti derivati da questi animali (latte, pelle, pellicce, ossa, lana, seta) non erano semplici merci. Diventarono simboli di identità nazionale e potere imperiale. Consumare prodotti animali europei significava partecipare al progetto di "civilizzazione". Rifiutarli equivaleva a essere etichettati come arretrati, inadatti o incivili.
Il colonialismo animale fu anche un pretesto materiale per la conquista. Con la moltiplicazione delle mandrie di mucche importate, i poteri coloniali insistevano sul bisogno di sempre più terre per il pascolo. Questa richiesta giustificò ulteriori espropriazioni di territori indigeni, alimentando cicli di spoliazione che devastarono sia le comunità che gli ecosistemi.
Attraverso questa lente, diventa chiaro che il controllo degli animali era inseparabile dal controllo degli esseri umani e dall'estrazione di risorse. La logica dello specismo (considerare altri esseri come risorse da dominare) rafforzava la logica del colonialismo. Entrambi servivano a naturalizzare gerarchie, privilegi e espansionismo.
Il processo di animalizzazione: come lo specismo giustifica le gerarchie umane
Queer + Trans Voices evidenzia come lo specismo non riguardi solo il nostro trattamento degli animali non umani, ma costituisca anche una struttura attraverso cui certi gruppi umani vengono svalutati. Un elemento cruciale di questa dinamica è l'animalizzazione – il processo di marchiare alcune persone come "inferiori all'umano", vicine all'animale, e quindi meritevoli di dominio o esclusione.
Lo specismo ciseteropatriarcale si manifesta nella transfobia e omofobia che "animalizzano" le persone LGBTQIA+. Le comunità queer e trans vengono spesso ritratte come devianti, innaturali o perverse, un linguaggio che implicitamente le paragona ad animali o le colloca ai margini della civiltà. Sia le sessualità non normative sia le diete non normative (come il veganismo) vengono inquadrate come queer. Entrambe sono trattate come minacce all'ordine naturale, sfidando le dicotomie uomo/donna, umano/animale, cultura/natura.
Questa retorica non si limita a stigmatizzare: crea una gerarchia di valore. Aph Ko e Syl Ko hanno scritto pagine illuminanti su come l'animalizzazione sia un meccanismo centrale del suprematismo bianco. Syl Ko spiega: "Quando definiamo una persona o un gruppo come 'animalistici'... stiamo dicendo che non si comportano, appaiono o credono nel modo 'appropriato', dove 'appropriato' è definito dagli ideali eurocentrici bianchi. In altre parole, deviano dalla bianchezza". Chiamare qualcuno "simile a un animale" significa dichiararlo inadatto a partecipare pienamente all'ordine sociale. È un modo per razionalizzare violenza ed esclusione.
Lo specismo si intreccia profondamente anche con l'abilismo. Centrale a questa ideologia è l'idea che vulnerabilità, dipendenza e interdipendenza siano segni di debolezza. Essere dipendenti (dagli altri, dalle cure, dalla comunità) viene dipinto come una condizione indegna e persino "innaturale". Questo pregiudizio agisce sia nell'ambito umano (stigmatizzando disabili, anziani, bambini) sia oltre la barriera di specie (giustificando lo sfruttamento animale).
Mettendo in luce queste connessioni, il libro ci invita a riconoscere come oppressioni apparentemente distinte (omofobia, transfobia, razzismo, abilismo, specismo) condividano una radice comune: la svalutazione di esseri classificati come devianti, dipendenti o inferiori all'umano.
Catastrofi climatiche: chi ne subisce maggiormente le conseguenze?
Quando parliamo di catastrofe climatica, spesso ci concentriamo superficialmente sull'innalzamento dei mari o sugli eventi meteorologici estremi. Ma questo libro ci esorta a guardare più a fondo alle disuguaglianze del collasso ambientale, che gravano soprattutto sulle persone già marginalizzate.
Le comunità impoverite sono costrette in modo sproporzionato a vivere in aree a rischio: zone alluvionali, regioni colpite dalla siccità, luoghi con infrastrutture inadeguate e scarse risorse per riprendersi. Quando gli uragani colpiscono, quando gli incendi divampano, quando le ondate di calore diventano più intense, sono generalmente le persone povere (in particolare le comunità indigene, le persone disabili e gli abitanti del Sud globale) a subire le conseguenze più gravi.
Mentre i racconti mainstream si focalizzano spesso solo sugli impatti umani, anche gli animali non umani vengono devastati dal caos climatico e dal degrado ambientale. Nel 2020, l'Australia ha vissuto gli incendi più distruttivi della sua storia moderna. Il WWF-Australia ha stimato che circa 1,25 miliardi di animali selvatici sono morti in quei roghi, una perdita di vita e habitat quasi inimmaginabile.
Il cambiamento climatico sta inoltre accelerando le estinzioni. Una stima del 2020 prevede che almeno la metà di tutte le specie potrebbe non essere in grado di migrare abbastanza rapidamente per sopravvivere all'aumento vertiginoso delle temperature massime. Anche se alcune specie riusciranno ad adattarsi alle condizioni mutate, fino al 30% degli animali e altri esseri viventi potrebbe estinguersi entro il 2070.
Queste crisi convergenti ci ricordano che l'ingiustizia climatica è fondamentalmente intersezionale. Riguarda la povertà, il colonialismo, lo specismo e i sistemi industriali che mercificano la vita stessa. Per affrontare il collasso climatico, non possiamo separare l'ambientalismo dalla lotta per i diritti umani o la liberazione animale. Le nostre risposte devono essere olistiche, radicate nella consapevolezza che tutti gli esseri, umani e non umani, condividono lo stesso vulnerabile pianeta.
Il sistema carcerario e il valore della vita
Queer + Trans Voices evidenzia come la punizione nella nostra società non sia semplicemente una risposta al danno commesso, ma rifletta chi viene considerato prezioso. Lo stesso atto può avere conseguenze drasticamente diverse a seconda di chi lo commette e della sua posizione nella gerarchia sociale.
Consideria questo: una persona nera o indigena in difficoltà economiche che ruba generi alimentari per sfamare la famiglia viene immediatamente etichettata come criminale, e viene controllata, arrestata e punita. Al contrario, un dirigente aziendale bianco che architetta frodi privando migliaia di persone dei loro risparmi ha molte più probabilità di evitare del tutto il processo o di essere considerato una figura "rispettabile" che ha commesso un errore. In altre parole, la punizione non riguarda necessariamente ciò che si è fatto, ma chi si è percepiti essere. Quale vita sia degna. Quale dolore venga riconosciuto. In quale potenziale valga la pena investire.
Angela Davis scrisse una frase celebre: "Le prigioni non fanno sparire i problemi, fanno sparire gli esseri umani". Le carceri allontanano le persone dalle loro comunità mentre prosciugano risorse alle loro famiglie, attraverso cauzioni, multe, costi del commissariato, tariffe telefoniche e innumerevoli altre spese predatorie. Questo equivale a un'inversione del welfare: sono i poveri a finanziare effettivamente la macchina della loro stessa oppressione. Gli impatti sono ciclici e corrosivi, radicando povertà e isolamento sociale attraverso le generazioni.
Eppure, mentre lo stato carcerario si espande senza sosta, fallisce nell'affrontare le radici del problema. Anche quando si tratta di violenza reale (come l'abuso sugli animali non umani), rinchiudere le persone in gabbie non guarisce le comunità né previene danni futuri. Esistono modelli alternativi. Muller-Harris descrive programmi comunitari in cui persone che hanno commesso abusi sugli animali, insieme alle loro famiglie, alle agenzie per la protezione animale e ai membri della comunità coinvolti, partecipano a processi decisionali collettivi su cosa richieda una riparazione olistica. Questo approccio riconosce che la responsabilità e la guarigione devono essere relazionali, non punitivi.
Queer + Trans Voices ci invita a immaginare come sarebbe rispondere ai problemi in modi che affermino la dignità di tutti gli esseri. E costruire sistemi radicati non nell'estrazione e nella logica dello scarto, ma nella cura, nella riparazione e nella responsabilità condivisa.
Strategie: integrazione vs liberazione
Un altro punto cruciale del libro è la distinzione tra due tipi di strategie: quella che punta a ottenere diritti all'interno di sistemi oppressivi e quella che vuole smantellare completamente quei sistemi. Prendiamo la storia del movimento LGBTQ+: nelle sue origini era definito da atti radicali di rifiuto (come Stonewall e la rivolta della Compton's Cafeteria). Queste ribellioni non chiedevano riconoscimento o validazione, ma rifiutavano la legittimità delle istituzioni che criminalizzavano l'esistenza queer. Con il tempo però, il movimento è passato dalla resistenza al sistema alla richiesta di protezione da parte del sistema stesso. Da una politica di liberazione a una politica del riconoscimento.
Questa svolta ha conseguenze profonde. Come spiega un contributore del libro, è la condivisione del potere (non la sua semplice regolamentazione) che porta a una vera trasformazione. Quando un movimento inizia a lottare per un'emancipazione concessa dallo Stato anziché per una liberazione conquistata dal basso, il suo potere collettivo viene barattato con diritti individuali di alcuni membri. Per ottenere riconoscimento legale, dobbiamo prima diventare soggetti leggibili e coerenti: buoni cittadini e consumatori rispettabili, "meritevoli" di inclusione.
L'attivismo per i diritti animali ha seguito un percorso sorprendentemente simile. Dalle azioni dirette e dal sabotaggio, molte campagne si sono spostate verso riforme legislative e approvazione istituzionale. Ma come per le lotte queer e trans, il riconoscimento statale spesso erode le idee radicali a favore di quelle liberali, quelle che cercano di accedere al potere anziché smantellare i sistemi che lo accumulano e abusano.
Intanto, la stessa logica carceraria si espande indisturbata. Gay, lesbiche e bisessuali vengono incarcerati a una velocità tre volte superiore alla popolazione generale. Prigioni, macelli, centri di detenzione e allevamenti intensivi non sono realtà separate: sono tutti estensioni dello stesso apparato di dominio.
Le nostre lotte non sono in contraddizione, ma complementari. Le diverse forme di oppressione non si incontrano solo nelle intersezioni (come nel caso delle donne disabili che affrontano sia abilismo che misoginia). Si riflettono e rafforzano a vicenda, anche in contesti apparentemente scollegati.
Nel movimento Black Lives Matter, molti hanno promesso di mettere al centro le persone nere più marginalizzate. Ma stiamo forse dimenticando le persone nere le cui vite vengono spezzate ogni giorno nei macelli, negli allevamenti di polli e in altre strutture dello stesso sistema carcerario legalizzato?
L'integrazione in un sistema violento non può essere il nostro obiettivo finale. La liberazione richiede di vedere l'oppressione come una struttura coerente, non come una collezione di problemi sconnessi. Ci chiede di resistere alla tentazione della rispettabilità, e invece trovare il coraggio di sognare oltre ciò che lo Stato è disposto a concedere.